Vie di Romans: alla ricerca del frutto

LOVEAT BEVE PER VOI Tra le vigne dell’Isonzo

Ed ecco che nelle nostre passeggiate per vigne, ci ritroviamo a Mariano del Fiuli, a Vie di Romans, nella sottozona Rive Alte della Doc Isonzo. L’azienda, di cui cuore anima e mente è Gianfranco Gallo, può contare su 60 ettari vitati e produce 10 etichette, di cui la maggior parte vini bianchi.

Gianfranco è la terza generazione di una famiglia che dal 1820 vinifica nel cuore del Friuli agricolo. Come tutti si ritrova inizialmente a vendere vino sfuso, ma appena diplomato, nel 1978, comprende l’importanza commerciale di imbottigliare e di sviluppare tecniche che gli consentano assoluta qualità nella vinificazione in bianco. Siamo praticamente all’inizio del Friuli vinicolo.
Insieme a lui uno dei figli (gli altri due stanno ancora studiando) cura la parte enotecnica in azienda e ha girato il mondo, dalla Nuova Zelanda all’Argentina, per assaggiare cosa accade al Sauvignon ad altre latitudini.
Mentre scorriamo con lo sguardo la parte di vigne a vista e ne percorriamo in parte con lui, il sole già alto e scalda la tarda mattinata, Gianfranco inizia a raccontarci la storia di Vie di Romans: il nome è un toponimo, dal suono romantico e piuttosto chiaro nel suo significato (lì passavano vie costruite dai romani). Eppure inizialmente la scelta fu quella più ovvia, cioè chiamare l’azienda con il proprio nome, Gallo. Ma il giovane vigneron friulano non aveva fatto i conti con il colosso californiano di Ernst e Giulio, loro pure Gallo, assai più grandi, noti e agguerriti nel difendere il loro brand da “minacce” esterne, provenissero anche da una piccola realtà della lontana Italia. Nell’86 quindi il cambio di nome, che per breve periodo fu Masùt, per poi diventare nel 1990 definitivamente quello attuale.

Oggi Vie di Romans immette sul mercato circa 280mila bottiglie all’anno, di cui il 40% finisce sui mercati esteri, in 25 paesi, e il resto in Italia. In maniera assolutamente lungimirante, Gianfranco riserva alcune migliaia di bottiglie l’anno per disporre, per sé e i suoi clienti (oh! lo facessero  tutti i vigneron!) di uno storico delle annate.

La cantina, moderna e funzionale, è su 3 piani. Gallo ci racconta dei suoi Sauvignon (è in corso un esperimento su 6 diversi Sauvignon, ma di questo vi racconteremo poi…), Chardonnay e Pinot grigi, ma per lui la tecnica è solo un mezzo, non un fine da mostrare, da sbandierare a giornalisti blogger curiosi e bevitori che visitano l’azienda. Insomma, sembra dirci il nostro loquace ma riservato ospite, poco importa che io ti racconti se un vino ha fatto legno o legno e acciaio, quello che conta è l’espressività dell’uva. Il percorso tecnologico che si deve seguire fa parte della tecnica, ed è una fase necessaria ma transitoria. Conta la visione. E assaggiando i suoi vini ne abbiamo la conferma (e smettiamo di farci, appunto le domande di cui sopra).

Accomodati nell’ampia sala dedicata alle degustazioni, beviamo il Vieris Sauvignon 2014, che prende il nome dal vigneto. 


Il vino, sorprendentemente già pronto (anche se queste sono bottiglie che si prestano molto bene all’invecchiamento, a esser dimenticate in cantina e riscoperte anche 10 anni dopo…), è fuori da poco. A differenza di tanti assaggi dell’infausto, diciamolo, 2014, oltre a esser corretto, ha un corpo morbido e seducente. Si ha la sensazione di masticare l’uva, si è pervasi, oltre che da aromi e profumi, da una burrosità che si diffonde piacevolmente in bocca, un vino multidimensionale, diremmo, che oltre ad allargarsi si espande in profondità. Il nerbo acido sostiene questi vini, tutti caratterizzati, ed è la cifra stilistica, da una ricerca di piena maturità del frutto. Il suo vero temperamento opulento, ci dice Gianfranco, verrà fuori tra altri 7/8 anni.


E noi non abbiamo fretta, possiamo aspettare.


Amelia De Francesco 

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