Il rito dell’uccisione del Maiale in Calabria – parte 1

Le soppressate e le salsicce calabresi

Era da molto tempo che pensavo di parlare di quello che è quasi un evento atteso per tutto l’anno: l’uccisione del maiale. So bene che molti storceranno il muso per il tipo di immagini e perchè potrebbe sembrare un’esaltazione dell’uccisione di un animale, ma in realtà il mio tentativo è quello di raccontare ciò che fa parte della tradizione di un tempo e in alcuni casi anche odierna.

La macellazione del maiale si porta dietro moltissimi aneddoti che ogni anno si ricordano perchè non è solo un momento di lavoro, è un rito, tutto viene svolto attentamente e tutto ha un perchè.

Si tratta di un vero e proprio rito che accomuna molte zone della Calabria anche se spesso alcune fasi possono cambiare, anche profondamente. In questo post vi parlerò della prima fase e del primo giorno di lavoro che vede la preparazione delle salsiccie, soppressate e salamini e di ciò che verrà poi cotto il secondo giorno nella Cardara.

Prima di tutto, bisogna dire che un tempo mangiare carne era un lusso e chi si poteva permettere di allevare un animale, aveva l’inverno assicurato. Non è un caso che mia nonna nel video che vi posto qui di seguito, citi un detto “chi si sposa è contento un giorno, chi uccide un maiale è contento un anno” che sta proprio a significare che sacrificando l’animale, si assicurava un anno di cibo alla famiglia. Sotto al video trovate una  descrizione più dettagliata.

Negli anni, è un rito che si è sempre più perso ma ancora nella mia famiglia c’è qualcuno che produce i propri salumi e il proprio strutto. L’uccisione del maiale era ed è tutt’ora un evento che si ripropone ogni anno nel periodo delle feste natalizie, periodo che normalmente è il più freddo e l’ideale per lavorare la carne. È un lavoro che si spalma su almeno due giorni, a volte si impiegano anche tre, ma si parla della parte clou perché il maiale viene accudito e governato per parecchi mesi prima di arrivare ai fatidici 2 giorni di intenso lavoro, quando oltre al rito in sé è un modo per tutta la famiglia, dal più grande al più piccolo, di stare insieme. Oggi più che mai, queste giornate accanto al duro lavoro che c’è da fare, si accompagnano risate, battute e scherzi che rafforzano il significato di famiglia, che specialmente sotto le feste di Natale, assumono un significato ancora più forte.

Mentre un tempo era molto più comune che le famiglie avessero il proprio animale, oggi è invece più raro, tanto che le nuove generazioni, pur essendo cresciute vedendo lavorare il maiale in famiglia, avrebbero molte difficoltà nel gestire un simile lavoro. Tutti, quindi, allevavano il proprio animale per circa un anno con i resti dei pranzi e magari con qualche cereale, se era ritenuto necessario.

Quando arrivava il momento di uccidere il povero animale, tutto veniva organizzato nei minimi particolari, perchè soprattutto nella prima giornata, il lavoro da gestire era tanto. Ed è così che la primissima parte del lavoro è destinata agli uomini che essendo più forti si occupano della parte sicuramente più cruda e triste: l’uccisione. Un tempo, che io ricordi, il maiale veniva costretto ad una lenta morte oggi invece diversi metodi vengono utilizzati, in totale rispetto delle normative, anche perchè, mentre un tempo in tutte le famiglie c’era chi sapeva come scannare e squartare l’animale, oggi questo non accade più e ci si affida a personale specializzato. Ricordo che le grida disperate e strazianti erano difficili da sopportare e quando si era piccoli si nascondeva la testa sotto il cuscino per non ascoltare. Le urla si risentivano per tutta la via e le donne del vicinato sapevano che da li a breve il lavoro “femminile” cominiciava.

Dopo aver steso il maiale veniva spellato con tantissima acqua bollente e con dei coltelli affilatissimi, appeso poi dagli arti posteriori si cominciava con la scuoiatura. Le donne erano pronte con delle ceste a raccogliere tutti gli organi e soprattutto le budella che andavano accuratamente lavate e che servivano per fare le salsicce e le soppressate.

Ricordate il vecchio detto “del maiale non si butta via niente”? E’ proprio così perchè nulla veniva mai buttato, neanche i peli che erano utilizzati per fare le setole. O il sangue che raccolto in un contenitore veniva usato per fare un dolce, una sorta di budino, con l’aggiunta di cioccolato, zucchero e cannella.

Finita l’operazione di squartatura dell’animale e portato tutto in casa, dove veniva lavorata la carne, le donne si adoperavano a tagliare le strisce dalla parti magre e poco grasse e poi a piccoli pezzetti che servivano per preparare le pregiate salsicce e soppressate. Una particolarità di quando si taglia la carne è che quando qualcuno sopraggiungeva per la prima volta della giornata nella stanza in cui si stava lavorando il maiale si salutava con una locuzione tipica “bonci crisci” e si rispondeva con “bona venuta a vui cu ssi du pisci”.

Tutta la carne viene poi ordinata in piccoli cumuli, chiamati propriamente Junte. Jiunta : si tratta di una sorta di misura ed è tanto quanto due mani giunte riescono a contenere. Chi fa la jiunta di carne, deve anche occuparsi della salatura della stessa, oltre che aggiungere tutte le spezie che possono variare non solo da paese a paese ma da famiglia a famiglia.  Il sale che deve essere aggiunto è quello che si riesce a contenere a pugno chiuso, con le dita che toccano il palmo della mano. Solitamente quest’operazione toccava alla persona più adulta, per saggezza ed esperienza. Alla fine la carne veniva amalgamata con le spezie. Quest’amalgama serviva chiaramente per fare il modo che tutte le spezie ed il sale si unissero con la carne. La carne poi veniva lasciata a riposare per delle ore in modo che si insaporisse. Questa parte solitamente avveniva nella mattinata.

Il primo giorno di lavorazione della carne non potevano mancare le polpette di carne, finemente tagliata al coltello, preparata con tutti i sapori e cotte al sugo nella pentola di terracotta. Il pranzo era davvero un momento bellissimo, tutta la famiglia si riuniva e si stava insieme consumando la pasta con il sugo, le polpette e la carne cotta anch’essa in una pentola di terracotta.

Subito dopo il pranzo, un’oretta o più era dedicata alle cotenne dalle quali si ricavano le frittole, dei pezzi quadrati di cotenna dove con la punta del coltello si faceva il segno del croce. Il resto dei pezzi dell’animale venivano puliti dai peli rimasti attaccatti alla cotenna e rasati, un tempo ancora con il coltello oggi invece con dei rasoi. Si preparano i grassi della parte del costato del maiale,zunzi nel dialetto della locride, avvolti in una sorta di pellicola che servirà per ungere la Cardara e per avvolgere due capicolli, un altro buonissimo insaccato. La padrona di casa decide quanta carne destinare alle soppressate e salsicce e quanta invece destinare nella produzione di pancette, lardi, buccalari e capicolli. Oggi si producono anche degli speck locali, che non hanno certamente lo stesso sapore degli originali, ma sono dei prosciutti speziati davvero molto buoni.

Prima di procedere alla produzione delle salsicce si deve fare la prova della carne. Consiste nel prendere un po’ di carne dopo qualche ora e racchiuderla nella carta stagnola, porla su della brace e farla cuocere. Un tempo quest’operazione veniva fatta nella carta oleata in mancanza della carta stagnola. Tutti dovevano assaggiare la carne e accertarsi che fosse buona di sale e di peperoncino. A questo punto si cominciava con la produzione degli insaccati che si dividevano in salsicce, soppressate e salamini.

Con le budella del maiale sapientemente lavate, sgrassate con il limone e il sale per due volte ed infine per l’ultima volta con il sale e sotto l’acqua corrente, si lasciavano nel sale fino al momento di utilizzarli. Questa è sicuramente la parte più antipatica e fastidiosa. Sgrassate e rilavate più volte si sciacquavano nel vino. Si infilavano poi nel tubo della macchinetta e si procedeva all’insaccatura. Con un ago si bucava l’insaccato che usciva dalla macchinetta e si procedeva alla legatura. Chi teneva il budello alla macchinetta doveva preoccuparsi che la carne fosse ben stretta al suo interno in modo che non ci fosse aria o vuoti che avrebbero compromesso la buona stagionatura del salume. Questo lavoro è quasi una catena di montaggio, ognuno aveva il suo lavoro da fare. Capitava a volte di dover “rammendare” un budello sgranato. Con il peperoncino ed un po’ di sale si coprova la parte del budello che si era sgranato. Una volta pronti tutti gli insaccati, venivano appesi legati ad uno spago a delle canne e appesi a formare il Circo. Per Circo si intendono le canne dove vengono posti gli insaccati a stagionare.

C’era chi per i primi giorni usava mettere un braciere sotto il circo con delle foglie di diversi alberi non solo per favorire l’asciugatura ma anche dare del profumo ai salumi.

Ed era così che si concludevano i giorni di lavoro intensi, da questo momento in poi toccava curare il resto degli insaccati come capicolli e pancette, e aspettare che fossero stagionati abbastanza per poterli consumare!

 

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