E tarall’ nzogn’ e pepe (i taralli sugna e pepe)

Più o meno un anno fa, la mia amica di Napoli Iris mi mandò un pacco con dentro alcune delizie, fatte da lei e non. Tra quelle non, un prodotto tipico napoletano, e tarall’ nzogn’ e pepe. Questi, in particolare, erano prodotti da Leopoldo, uno dei tarallifici più antichi e rinomati di Napoli, e quando li assaggiai, per poco non svenni! Loro! Erano loro i taralli che preferisco in assoluto, gustosi, friabili, di quelli che sfogliano appena li guardi, con quelle mandorle che, combinate al sapore della sugna e allo speziato del pepe, mi mandavano in delirio.

Li centellinai, con grande sforzo, perché mi piacciono talmente tanto che potrei mangiarne a decine uno dietro l’altro, ma primo non volevo che finissero subito, e secondo, non sono esattamente una cosa di cui ci si possa abboffare a cuor leggero. Tuttavia, nonostante la mia parsimonia, il sacchetto finì (e qui cala una lacrimuccia, sob! sob!)
Poi è successo che, non molto tempo fa, sul blog di Iris passò la ricetta dei tarall’ nzogn’ e pepe. Non potevo non andare a vedere, e scopro così che si tratta proprio della ricetta di Leopoldo. Iris scrive che non vengono proprio uguali. Pur essendo squisiti, lei avverte una certa differenza con gli originali, il che non dovrebbe sorprendere giacché, come si conviene ad ogni chef di una certa notorietà, in ogni ricetta si cela un segreto che non verrà mai rivelato ad anima viva, neanche sotto tortura :-)

Io li ho fatti (e potevo forse rinunciarci???), e se la differenza con gli originali c’è, è davvero impercettibile al mio palato. Del resto, è passato un anno da allora, e per poter sentire questa differenza, avrei bisogno di mangiare contestualmente uno dei miei e uno dei suoi, per poterli mettere a confronto.
Tuttavia, già così per me sono appaganti oltre ogni misura, e molto, molto, MOLTO pericolosi.
Se qualcuno li volesse provare, avverto subito di una cosa: la sugna c’è, e tanta. Vi ritroverete a lavorare un impasto grasso, plastico, meraviglioso. Impiegherà un po’ di tempo per incordare, proprio per l’elevato contenuto di materia grassa, ma l’importante è non cedere alla tentazione di aggiungere altra farina.

Per me sono unici e irripetibili… no, vabbé, irripetibili no, non più almeno :-)
Non posso non ringraziare ancora una volta la mia amichetta partenopea Iris, per aver condiviso questo tesoro sul suo blog :-*

Dosi per una trentina di taralli di dimensioni medie:

  • 500 g di farina tipo 0 (io manitoba e una farina debole macinata a pietra, entrambe 0, più o meno in parti uguali)
  • 200 g di acqua
  • 250 g di sugna, altrimenti detto strutto
  • 150 g di mandorle non spellate
  • 2 cucchiaini di pepe nero macinato
  • 1 cucchiaino di sale
  • 3,5-4 g di lievito di birra disidratato in granuli, oppure 12,5 g di quello fresco

Nella ciotola dell’impastatrice, con la frusta a K a velocità minima, mescolare l’acqua con la sugna e le mandorle. Aggiungere il lievito e farlo sciogliere, quindi aggiungere la farina un po’ alla volta. In ultimo sale e pepe.
Sostituire la frusta a K col gancio e portare a incordatura, velocità 2,5-3. L’impasto è molto grasso e impiegherà un po’ a prendere corda. Sforzarsi di pazientare e dargli tempo, non cedere per nessun motivo alla tentazione di aggiungere altra farina.

Quando sarà finalmente incordata, far riposare la massa nella ciotola, coperta con un canovaccio, per un 20-30 minuti, quindi staccare tanti pezzi da circa 30-40 g (a me ne sono venuti 31), con i palmi delle mani dare a ognuno una forma un po’ sferica e porli ordinatamente sulle leccarde foderate con la cartaforno. Metterli a lievitare nel forno con la lucina accesa, più o meno per un 3 ore. Non aspettatevi comunque che lievitino tanto, li vedrete giusto un po’ rigonfi.

Per formare i taralli, prendere ogni sfera di impasto e allungarlo a formare un cordoncino di 12-15 cm di lunghezza, quindi piegarlo a metà, intrecciarlo e congiungere le estremità continuando, se necessario, ad estendere e avvolgere delicatamente.
 

Porre di nuovo sulle leccarde e, senza attendere altra lievitazione, cuocere nel forno preriscaldato a 210° ventilato per 25 minuti, eventualmente invertendo (quella di sotto sopra) e girando (la parte davanti dietro) le leccarde.
 

Far raffreddare per almeno 4 ore, quindi ripassare in forno per farli “biscottare” a 150° statico per 45 minuti, eventualmente abbassando la temperatura a 120° negli ultimi 10-15 minuti.

Gustati caldi è la morte loro, ma sono ottimi anche freddi e si possono conservare a lungo in una scatola di latta per i biscotti.

E ora, passiamo ad altri taralli. Questi però sono soffici. E caldi. E pelosi. In comune con quelli sopra, hanno solo il fatto di essere grassi ;-P
E non si mangiano. Bé, almeno non si dovrebbero!!! :-D 

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