Diario di viaggio // Copenahgen, il mio racconto

Le prime tre cose che mi sono venute in mente comprando il biglietto aereo: il Noma, la sirenetta e ancora il Noma.

Premessa:
Ciò che voglio raccontare qui, oggi, sono i sentimenti della scoperta di un nuovo luogo, le sensazioni provate nel guardare un’opera o nel sentire un profumo. A questo post seguiranno alcuni approfondimenti che spero potrete trovare utili se in futuro vorrete visitare la penisola e, nella fattispecie, Copenahgen.

Il volo inizia con un’emozionante alba rossa al di là delle Alpi, seduto in un angusto sediolino della Ryanair, pregando incessantemente dentro di me che la valigia stesse viaggiando nella stiva assieme a me e non diretta verso qualche Paese oltre mare. L’alloggio scelto è un albergo posto in posizione strategica per la sua vicinanza alla stazione centrale (il link all’albergo lo potete trovare alla fine del post), che si collega in pochi minuti con l’aeroporto grazie ad un treno che, andata e ritorno, costa circa 80 DKK (ca. 11€). Nulla di che, un po’ vecchiotto nonostante su internet pubblicizzassero il suo recente ammodernamento. Non ha importanza, una camera d’albergo è sufficiente che abbia un letto ed una doccia, sono lì per vivere la città, non l’hotel. La receptionist non è delle più simpatiche al nostro arrivo, sottolineando che siamo in largo anticipo e il check-in sarebbe stato possibile solo cinque ore più tardi. Poco male, fatemi lasciare le valigie in una lobby e datemi la città.

Un post condiviso da Federico Campolattano (@federico_campo) in data: 23 Feb 2017 alle ore 11:31 PST

Copenhagen si rivela ai nostri occhi in una giornata di sole che scalda i sentimenti sopiti del viaggiatore in cammino. Il cielo sorride alla città con un azzurro vivo, regalando uno scenario metropolitano di innegabile bellezza, con piccole pozzanghere di acqua che testimoniano quanta pioggia sia caduta nei giorni precedenti il nostro arrivo. Il vento fa muovere velocemente nel cielo piccole nuvole grigie che portano in grembo acqua da chissà quale parte del globo. La città è frenetica, viva, ma ordinata. Dopo tutto è mercoledì.

Sono incuriosito.
Comincio a sbirciare nei negozi, nelle case, nelle attività commerciali. Faccio conoscenza con il minimalismo dell’arredamento danese. Una palestra in particolare mi colpirà più tardi: due grandi vetrate, all’interno poche luci che scendono dal soffitto; lampadine a bassa intensità producono una flebile luce arancione. Le pareti sono in pietra e la stanza ha una rilassante oscurità. A terra due panche di legno ed un tavolo dello stesso materiale grezzo. È la sala relax di una palestra. Un frequentatore siede alla tavola, mangia una mela verde e sorseggia una bottiglietta d’acqua, mentre guarda la città che, oltre il vetro, rallenta il suo ritmo verso un più rilassante orario serale.

Sono le 10.00 del mattino. Una breve sosta per una colazione veloce di rara bontà (di cui vi parlerò più avanti in un altro post appositamente dedicato alla gastronomia in città). La prima tappa è ROSENBORG CASTLE, antica residenza dei monarchi danesi. Il castello è splendido. Piccolo in confronto al grande parco aperto che lo circonda. Il sole si diverte a creare giochi di luci tra le torri ed ombre sulle pareti.
In lontananza sentiamo una fanfara.  
“Fede, ascolta!” “Ma no, è la musica che hanno messo per rendere ancora più suggestiva la visita.” rispondo io superficialmente. Ma ci accorgiamo subito che quella musica è prodotta dalla guarnigione che, alle 11.30 di ogni giorno, puntuale, lascia il castello per dirigersi all’attuale residenza reale di Amalienborg e dar vita al suggestivo cambio della guardia.

Fra tamburi rullanti e flauti allegri, il motivetto che ne vien fuori diventa in pochissimo un tormentone da fischiettare in giro per la città.

The Rosenborg Castle by Federico Campolattano on 500px.com

Camminando nei pressi del palazzo reale ci imbattiamo in un negozio.
Al suo interno un profumo di legno e cannella aleggia nell’aria, tra calici di vecchio cristallo, suppellettili di latta e grossi mobili di legno usurato, ci facciamo largo spinti dalla curiosità di approfondire.
In un attimo è amore.
Il nome è FIL DE FER. Vende quel genere di oggetti che caratterizzano un arredamento volto all’equilibrio con il passato, in cerca di un Feng Shui interiore. Legno, metallo, vecchia pelle. Tutti per la maggior parte usati, ma tenuti in perfetto stato, mostrano quel tipico fascino da oggetto che cela in sé una tacita storia impossibile da narrare e che mai verrà ascoltata. Una grande lampada a braccio mi incuriosisce. Il proprietario si avvicina e si rende disponibile a fornirci tutte le informazioni di cui abbiamo bisogno. “Da dove venite?” ci domanda “Siamo italiani, ma abitiamo in Germania” “Wow, che bella l’Italia”. Quante volte per tutti gli 11.000 km che seguiranno sentiremo questo sospiro seguito da quelle parole. Che persona squisita. Vuole offrirci un bicchiere di tè. Noi maleducatamente rifiutiamo, abbiamo i minuti contati, la tabella di marcia è lunga e Copenaghen è grande da visitare, soprattutto quando l’app sul tuo telefonino ti avvisa che quello sarà l’unico giorno di sole dei due che hai previsto di soggiorno in città.

FRIEDRICK’S KIRCHE (conosciuta anche con il nome di Marmorkirken, la chiesa di marmo) ricorda molto la Basilica di San Pietro a Roma. La pietra viva e la sua cupola color verde smeraldo sono di quel preciso fascino familiare.
Entriamo.
Le chiese come elemento fotografico mi catalizzano da qualche anno a questa parte. I loro interni sono sempre calmi e, con l’obbligo reverenziale di dover parlare sottovoce, sono un luogo perfetto per un animo irrequieto come il mio. Se l’esterno può ricordare San Pietro, l’interno ne cancella ogni similitudine che la memoria abbia accostato: circolare, non troppo alta, con piccole finestre che immettono una flebile luce. Non è internamente una delle chiese più belle visitate nella mia vita (la mia preferita, all’estero, rimane il Duomo di Friburgo), ma sicuramente particolare.
Ne preferisco l’esterno.

Frederik

Passeggiando a ridosso del mare, poco più in là, google maps mi indica come arrivare al simbolo per eccellenza di Copenhagen: la sirenetta. Il cielo è uggioso, ma non minaccia fulmini e saette. Piuttosto il vento, così freddo e vigoroso, sembra che voglia ricordarci ad ogni angolo che siamo molto lontani dal clima di casa. Per fortuna abbiamo un abbigliamento studiato e ragionato, in fondo Copenhagen sarà, forse, la tappa più “calda” in cui ci imbatteremo nei giorni a seguire.
Camminando ci ritroviamo dinanzi ad una delle tante copie del DAVID di Michelangelo disseminate sul globo. 

Imponente, bello, teso e pronto alla lotta contro Golia. Sullo sfondo giace un palazzo dai mattoni color arancio. Guarda lontano il David, al mare. Ci verrebbe da corrucciare un po’ il naso vedendolo così, nudo, solo, dinanzi ad un rigido mare danese. Eppure quella posizione gli dona fascino, come a protezione di tutto ciò che viene dall’orizzonte e potrebbe far ingresso minaccioso in città. È innegabile conferirgli quel coraggio di cui è famoso per aver affrontato la celebre gigante controparte dei Filistei.

The Michelangelo

Giungiamo alla SIRENETTA. Così piccola. È posta su uno scoglio e dà le spalle alla sua casa, il mare, in cerca dell’uomo che le ha rapito il cuore e per cui è disposta a rinunciare alla sua stessa natura pur di poterlo amare. La statua ferma il tempo della storia a metà tra l’addio all’oceano e il suo approdo sulla terra ferma, nel momento esatto della sua trasformazione in essere umano. La coda è velo sulle gambe che prendono lentamente forma, ma il suo volto è triste, perché quel miracolo è frutto di una rinuncia fatta a ciò che di più caro aveva: la sua voce, venduta alla strega dei mari in cambio del suo desiderio di essere trasformata in essere umano. Sono rimasto molto tempo ad osservare l’opera, a fare fotografie e ciò che la statua mi continuava a trasmettere era una sensazione di malinconia, impossibile da non percepire, anche per il più superficiale dei turisti.

Copenhagen mostra il suo fascino quieto di città nordica in ogni suo aspetto. Il mare danese porta un vento freddo di ricordi che solcano ogni singola onda si infranga sulle navi attraccate nel suo geometrico porto. Il romanticismo esplode passeggiando nella zona del NYHAVN, dove grandi barche di legno si contrappongono a colorati palazzi che fanno da sfondo ai numerosi ristoranti e bar della zona. Già in passato, parlando di Amsterdam, ho raccontato quanto ami visitare le città nordiche con la loro aura di grigia malinconia metereologica. Credo che una città così assuma molto più fascino, illuminata a sorpresa da qualche timido raggio di sole che riscalda per un attimo l’aria gelida e salmastra.

Il passo, poi, da pioggia a grossi fiocchi di neve è un attimo! 

La città, con l’arrivo della sera, ci ha regalato un’ultima armoniosa visione, ricoprendo le strade, i tetti e le nostre spalle in pochi minuti di una vigorosa neve, candida e soffice, divenendo in un attimo protagonista e coreografia di una città inghiottita da un piacevole buio, tagliato dalle calde luci provenienti dai bar, dalle case e dai ristoranti colmi di danesi e turisti.

Con le sue strade ciclabili, la sua tranquillità, il suo aspetto di luogo in cui il tempo sembra scandito più lentamente rispetto a tutto il mondo, la capitale danese mi ha lasciato una piacevole sensazione, che vivo ancora adesso. Mi ha regalato quelle esatte emozioni che avevo immaginato nel momento in cui ho deciso di visitarla. Ogni angolo è capace di trasmetterti qualcosa che non riesci a trovare in nessuna altra parte del mondo. Geometria, arte e ponderata semplicità convivono a formare un perfetto cerchio emozionale. Una familiarità anomala nasce dentro il visitatore, è nata dentro di me, come se quella mia prima volta in città in realtà fosse solo un ritorno dopo un lungo distacco. Con molta probabilità la colpa è di quell’aurea fiabesca che circonda chi cammina per le sue strade, dove, senza troppa difficoltà, si viene rapiti immaginariamente da storie fantastiche che partono su quelle navi attraccate nel porto del Nyhavn e giungono verso avventure lontane, scomparendo oltre il grigio orizzonte marino.

L’albergo: RICHMOND HOTEL – rif. su booking.com (andate altrove!)
Il negozio: FIL DE FERsito web

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