Baccalà alla vicentina

Non è certamente una ricetta originale: in effetti la potete trovare su centinaia di siti di cucina. Ho pensato che occorresse scriverla, tuttavia, perché sono inspiegabilmente difficili da trovare istruzioni precise, sia per quanto riguarda le dosi, sia per quanto riguarda la preparazione, che può andar storta in molti modi fantasiosi.

Non è la foto più sexy del mondo, ma dà l’idea.

Sia chiaro da subito che, anche se si chiama tradizionalmente “baccalà”, questo piatto si prepara con lo stoccafisso, ossia con il merluzzo essiccato, non con il merluzzo sotto sale che porta più propriamente quel nome. Ad uso e consumo dei viaggiatori che passano da queste parti, sottolineo anche che, nel Triveneto, questa preparazione ultra-tradizionale è così comune che chiunque, a sentir parlare di baccalà, penserà immediatamente allo stoccafisso ed è quel che vi sarà servito in qualunque ristorante abbia “baccalà” tra le proposte.

La preparazione non è particolarmente difficile, ma occorre star molto attenti ad alcuni dettagli, in primis la temperatura. Il risultato è strepitoso, se non l’avete mai assaggiato ve lo consiglio caldamente.

  • Stoccafisso essiccato: uno intero, da circa 500 grammi
  • Una piccola cipolla: circa 150 grammi
  • Sarde sotto sale: una o due
  • Latte intero: 250 mL o poco più
  • Olio di oliva extravergine dal sapore tenue: 250 mL
  • Formaggio tipo grana o parmigiano grattuggiato: un paio di cucchiai
  • Farina bianca di frumento: quanto basta
  • Prezzemolo: un ciuffetto
  • Aglio: uno o due spicchi, facoltativo, da aggiungere tritato al soffritto. Io non l’ho mai usato.
  • Sale

Stoccafissi

La ricetta è per 6–8 persone e richiede tre o quattro giorni di ammollo, mezz’ora di preparazione e circa cinque ore di cottura.

Acquisto: Per prima cosa, occorre comprare lo stoccafisso. Qui lo si trova, intero o a tranci, in quasi tutti i supermercati. Le taglie vanno più o meno da 300 a 600 grammi, il prezzo è di circa € 4–5 l’etto, anche molto di più per gli esemplari migliori. Ottanta grammi circa basteranno per una persona, se non si mangia altro, perciò nonostante l’esborso iniziale lo faccia sembrare un piatto molto caro, tutto sommato non lo è. Se non trovate lo stoccafisso, lasciate perdere: non ha senso provare con il merluzzo fresco o con il baccalà vero e proprio. Tutti i vicentini concordano che il miglior “baccalà” sia della qualità ragno, che si riconosce perché marchiato da un lato con una “R”. Tutti pronunciano “ragno” come l’odiata bestiola, ma il termine norvegese andrebbe piuttosto letto “rag-no”.

Ammollo: La seconda tappa è l’ammollo: lo stoccafisso va tenuto in acqua fredda per tre o quattro giorni. Durante questa fase, manda un odore molto forte e non particolarmente gradevole di… pesce secco? Ammoniaca? Mangime per cani? Vi consiglio di far così: se l’avete intero, tagliatelo a pezzi con un coltellaccio o segatelo con un coltello per il pane e mettetelo in un pentolone. Ricopritelo d’acqua, incoperchiate e lasciatelo fuori dalla porta di casa. Cambiate l’acqua la mattina e la sera. Al termine della procedura, il peso sarà circa triplicato.

Per scongiurare il rischio di contaminazioni, occorre che la temperatura esterna sia piuttosto bassa; ai nostri giorni, il baccalà non è più l’unica cosa commestibile a disposizione e si tende a farlo solo d’inverno, quando lo si mangia più volentieri. Se proprio lo volete preparare d’estate, sarebbe bene ammollarlo in frigorifero o cercare nei negozi lo stoccafisso già bagnato. In questo caso tenete conto, però, che il prezzo sarà gonfiato enormemente: pagherete l’acqua quasi quanto il pesce.

La tradizione vicentina vuole che il baccalà venga battuto a lungo e con violenza, prima dell’ammollo, il che lo dovrebbe rendere più tenero. Se volete seguire questa usanza (e se vi piace che il risultato finale venga in piccoli pezzettini), fatelo, usando qualcosa come un mattarello. Questa pratica la si ricorda anche nello sciagurato proverbio (che non traduco):

Done, can e bacalà i xe boni pestà.

Mi dissocio assaissimo.

Preparazione: Aprite a metà il baccalà dalla parte della pancia e rimuovete meglio che potete la lisca, le spine, le pinne, la coda e gli ossi dalla parte della testa, ma non la pelle, che si sfalda quasi del tutto. Non occorre una precisione maniacale: dopo la lunga cottura, queste parti diventerebbero comunque piuttosto tenere. Togliete anche la vescica natatoria, di colore scuro, che puzza parecchio. Affettate finissima la cipolla e fatela soffriggere molto molto lentamente in circa mezzo bicchiere d’olio, di modo che diventi trasparente e molle, ma non imbiondisca. Ci vorranno almeno 10 minuti. Nel frattempo, squamate e deliscate le sarde e aggiungetele alla cipolla, lasciando sul fuoco e mescolando fino a quando non sono del tutto sfatte. Tritate fino il prezzemolo e aggiungetelo al soffritto quando le sarde sono sciolte, poi spegnete. Infarinate molto leggermente la parte interna del baccalà, appena una spolverata leggera, come se steste decorando delle frittelle con un po’ di zucchero al velo. Si consumerà un cucchiaio di farina circa. Spargete i due terzi del soffritto sopra al baccalà, poi sopra a questo spargete il formaggio e salate molto leggermente.

La scelta della pentola è abbastanza importante: dovete procurarvi un tegame largo e basso, di una misura tale che il baccalà, tagliato a tranci di 5–10 cm di altezza, rimanga ben stretto, come nella figura sotto. Dovrebbe avere il fondo molto spesso, o esser messa su uno spargifiamma efficace, per evitare che tutto s’attacchi. Una volta fatta la vostra stima e scelto il recipiente, procedete a tagliare il pesce in fette di altezza uniforme e consona e ad avvolgere i tranci in rotoli. Probabilmente quelli più piccoli dovrete accontentarvi di chiuderli a libro. Spargete il soffritto rimanente sul fondo del tegame, infarinate bene ciascun rotolo sopra e sotto e disponeteli nel tegame. Unite il latte e, sopra a questo, il resto dell’olio, che sembra un’enormità, ma è indispensabile.

Baccalà ben disposto nel tegame, prima dell’aggiunta del latte e dell’olio.

Cottura: Mettete sul fuoco e fate cuocere scoperto a fuoco minimo per quattro o cinque ore. Questa è la parte rischiosa della procedura: se il baccalà raggiunge l’ebollizione, diventa di colore rossastro e di consistenza tenace ed è da considerarsi non riuscito. I cuochi vicentini fanno a gara a chi prepara il baccalà più bianco (ma tipicamente è color grigiastro–crema, come nella foto). La cottura deve avvenire ad una temperatura ideale di 95°C o poco più. Di solito con i fornelli moderni è impossibile non arrivare all’ebollizione, perciò dovrete ingegnarvi per sollevare la pentola dal fuoco quanto basta a mantenere la temperatura costante. Io faccio una simpatica costruzione con dei coltelli di acciaio, ma voi potete adoperare, ripeto, un ottimo spargifiamma o un più tradizionale mattone refrattario. Potete controllare costantemente la temperatura col termometro, come faccio io per sicurezza, oppure affidarvi ai vostri occhi: il baccalà deve pipare, ossia dev’esserci un solo un punto o due della pentola dal quale esce costantemente una bollicina di vapore ogni secondo, come nel video sotto.

Se tutto va liscio, l’olio dovrebbe rimanere sempre perfettamente limpido e identico a quando l’avete versato, fino alla fine. Non mescolate assolutamente mai, al massimo potete ruotare la pentola di tanto in tanto. Mano a mano che il liquido si restringe, la temperatura tende a salire; ripeto: evitate assolutamente che bolla.

Una volta terminata la cottura, spegnete il fuoco e mescolate bene il baccalà. Se fosse troppo denso, aggiungete un goccio di latte (o panna, secondo qualche eretico). Regolate di sale. Mescolando si ottiene un baccalà ridotto in pezzettini e con tutto l’olio amalgamato, come nella foto iniziale; questo aspetto è il più tradizionale, ma a qualcuno piace che rimanga più a pezzi interi. Basta mescolare di meno.

Va tradizionalmente con polenta gialla fresca o, molto meglio, abbrustolita. Per abbrustolire la polenta sulla griglia è bene prepararla il giorno prima e lasciarla asciugare all’aria; tenete conto che anche il baccalà è enormemente migliore servito il giorno dopo la preparazione.


Lo stoccafisso ed il baccalà, come ho già detto, sono dei merluzzi (Gadus moruha) conservati, rispettivamente seccati all’aria o sotto sale. Mentre il baccalà si prepara un po’ in tutti i paesi del Nord Atlantico dove ancora il pesce si pesca, lo stoccafisso richiede condizioni ambientali molto particolari per non andare a male e viene quasi tutto dalle isole Lofoten, nella Norvegia del nord. Quasi il 90% della produzione è esportata in Italia e, di questa, la maggior parte arriva in Veneto, dove si cucina o come in questa ricetta, oppure bollito e mantecato con olio, alla veneziana.

Alcuni merluzzi sotto a un relitto.

La storia del baccalà in Veneto è parecchio curiosa: ci fu portato nel 1432 dal mercante veneziano Pietro Querini, che lo scoprì dopo aver fatto naufragio sulle Lofoten, mentre viaggiava da Creta alle Fiandre (potete leggerla in dettaglio qui). A tutela del tradizionale baccalà alla vicentina esiste addirittura una specifica confraternita, della quale posso vantare membri in famiglia. Dal Quattrocento e fino alla metà del Novecento i merluzzi erano immensamente comuni e lo stoccafisso, economico rispetto ad altro e facilissimo da conservare, è stato per secoli un cibo fondamentale nell’alimentazione delle genti di qui, assieme all’aringa e la sarda atlantica sotto sale (rispettivamente renga e scopeton). Con l’aumento della popolazione e il miglioramento delle tecniche di pesca, il merluzzo è stato messo sotto seria pressione ed ora vige, in Europa e in Russia, una strettissima regolamentazione che limita il numero di esemplari prelevati ogni anno per mantenere una popolazione stabile, cosicché è diventato ben più caro. Nel frattempo, il prezzo della carne e del pesce fresco è notevolmente diminuito, assieme il tempo che la gente ha da dedicare alla cucina, perciò il baccalà è ormai un piatto per occasioni particolari.

In Nord America, le cose sono andate ben peggio. Il merluzzo adulto è un predatore, che si nutre principalmente di aringhe e altri simili pesci di media taglia. Ciascuna femmina produce ogni anno milioni di uova, che sono mangiate proprio dalle prede naturali dell’adulto. Al largo di Canada e Stati Uniti, la pesca sregolata ha rimosso un numero di merluzzi adulti tale che, all’inizio degli anni ’90, la popolazione delle aringhe è esplosa, rendendo quasi impossibile la sopravvivenza dei giovani merluzzi. Questo pesce sparì da quei mari quasi totalmente a seguito dello squilibrio causato: ne rimase solo l’1%. Seppur non manchino incoraggianti segni di ripresa, la pesca di questa specie in Atlantico occidentale è ad oggi sostanzialmente proibita e comunque di fatto impraticabile, visti i numeri. Al problema ambientale si somma perciò un grave danno alla vitalità di molte economie locali, per secoli largamente fondate proprio sulla pesca del merluzzo, senza contare la perdita di un alimento così tradizionale.

In blu, i merluzzi pescati nell’Atlantico Occidentale, in azzurro, quelli pescati nell’Atlantico Orientale. In entrambe le regioni i numeri assoluti di merluzzi presenti sono oggi in netta crescita, ma a partire da livelli completamente diversi.

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